Per la produzione dei vini passiti si utilizzano uve parzialmente disidratate grazie ad un processo naturale chiamato appassimento. Una volta vendemmiate, le uve vengono poste a riposo per un periodo di tempo variabile tra uno e sei mesi, durante il quale il processo naturale di evaporazione dell’acqua contenuta negli acini porta alla concentrazione di tutte le sostanze in essi contenute, zuccheri in primis, ma anche tutte le sostanze infermentescibili che costituiscono la struttura del vino. L’appassimento viene in genere fatto avvenire in appositi locali, chiamati fruttai, e le uve sono distese su graticci o in apposite cassette. In alcuni casi vengono appese, attorcigliate a corde, componendo quelli che vengono chiamati “picai” (ad esempio nel caso del Torcolato, prodotto nella DOC Breganze, in provincia di Vicenza. In altri casi l’appassimento è fatto svolgere direttamente sulla pianta, avendo cura di tagliare il picciolo del raspo, in modo da interrompere il flusso di fluidi con la pianta. In quest’ultimo caso, se l’appassimento si protrae fino alle prime gelate invernali, in alcune zone si producono vini mediante la torchiatura dei grappoli gelati, ottenendo i famosi “Ice Wines”. La concentrazione di zuccheri nei mosti di uve passite è molto elevata, per cui i vini passiti sono in genere dolci, ossia contengono un residuo zuccherino importante, che può variare dai 50 a più di 200 g/l. Alcuni famosi vini passiti sono però secchi, ed in questo caso rappresentano esempi di rara complessità e struttura. Citiamo per esempio l’Amarone della Valpolicella e lo Sforzato della Valtellina.